Riccoldo di Montecroce, frate domenicano, nell’ultimo decennio del Duecento viaggia in Terrasanta, Turchia e Mesopotamia, fino a Baghdad, cuore dell’Islam. Partecipa al grande sforzo evangelizzatore compiuto dalla Chiesa di Roma in Asia dopo le conquiste mongole, quando ormai gli Stati crociati sono in balìa dei Mamelucchi. Senza indulgere all’esotico, e col gusto scolastico per la controversia teologica, Riccoldo nel Libro della peregrinazione descrive Turchi, Mongoli, Curdi, Cristiani orientali e soprattutto i «Saraceni», cioè i seguaci di Maometto. L’incontro prolungato con questi ultimi – che fa di Riccoldo uno dei primi islamisti occidentali – provoca in lui stupore, disprezzo e sofferenza. Le speranze di conversione si rivelano illusorie. Le differenze religiose sono rimarcate per difendere la superiorità della propria fede, più che per convincere altri ad aderirvi. Nelle Epistole alla Chiesa Trionfante, scritte dopo la caduta di San Giovanni d’Acri, Riccoldo esprime l’angoscia di chi si sente abbandonato dal proprio Dio e sconfitto da una fede giudicata assurda e falsa. La storia non va verso una vittoria della “vera” fede? Negli scritti di un celebre missionario fiorentino, l’impegno e la fatica di darsi ragione dell’Altro.
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