Cosa succede alle donne che lavorano in un paese che fatica a conciliare una cultura tradizionalista con le esigenze di un’economia globalizzata? In questo vivido ritratto della società egiziana, reso con grande precisione e approfondito da due anni di full immersion nel paese, Leslie T. Chang segue l’esperienza di tre donne che con tenacia e perseveranza vivono e lavorano in un contesto che spesso ne ostacola i progressi esistenziali e professionali. A causa delle forti oscillazioni della politica economica, di un sistema educativo in crisi e di un sistema familiare in cui le aspettative matrimoniali sono ancora molto conservatrici, le storie di Riham, Rania e Doaa mostrano il difficile e precario equilibrio a cui sono costantemente costrette le donne egiziane. L’autrice osserva con i propri occhi i rischi e i pregiudizi a cui sono esposte, intrecciando alle loro storie quella di un intero paese e degli eventi che l’hanno plasmato: i tempi di una gloriosa industria manifatturiera, della colonizzazione e dell’indipendenza, la diffusione dell’islam e un secolo di sconvolgimenti politici e di promesse di liberazione fin qui sostanzialmente tradite.
Cosa rimane della galanteria oggi? «Mito francese», «libertà di importunare» o «cultura dello stupro», questo feticcio culturale è diventato uno spaventapasseri. Più che una nozione fissa, è stata fin dall’inizio un vero e proprio campo di battaglia per le donne nell’esplorare le relazioni di genere, il consenso sessuale e il rifiuto del matrimonio. Tuttavia, il dibattito in questi termini rischia di oscurare la ricchezza e la complessità della galanteria. Jennifer Tamas ne ripercorre le origini e lo sviluppo chiedendosi se sia un concetto davvero superato: anziché sessualizzare la galanteria, non è forse necessario galantizzare il sesso per renderlo più giocoso, più rispettoso e gioioso? Una rinnovata attenzione all’altro, ascoltandolo e rendendolo vero interlocutore, può costituire la base di una nuova civiltà sessuale?
La passione profonda di Giovanni Pico della Mirandola (1463-1494) per i libri è svelata dai numeri della sua biblioteca – la più ampia posseduta da un umanista alla fine del Quattrocento –, dai contenuti e dai segni di lettura lasciati sui libri letti, sia suoi che di altri. Pico ha speso il suo ingente patrimonio raccogliendo opere di ogni branca dello scibile umano, dai classici greci e latini alla scolastica, dalle opere di Platone e Aristotele, Avicenna e Averroè, alle molteplici versioni della Bibbia, oltre a testimoni del Talmud e del Corano. Questo libro rinnova l’interesse per la biblioteca di Pico, considerata a lungo perduta, sulla scorta degli scenari aperti da studi recenti, apportando nuova linfa a future, e auspicabili, indagini storiche e filologiche. Le ricerche di Saverio Campanini, Daniele Conti, Amos Edelheit, Sebastiano Gentile, Daniela Gionta, Fabrizio Lelli, Paola Megna, Giovanna Murano e Agata Pincelli inquadrano l’argomento illuminando aree ancora inesplorate, spaziando dalle fonti scolastiche a quelle arabo-ebraiche, dalle presenze sinesiane all’inventario vaticano dei libri dell’umanista.
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