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Barbara Carle
Veemenze

Veemenza, da vehere, è un atto di trasporto psichico. La memoria ci toglie dal presente mentale creando veemenze. Ogni ricordo s’inserisce in un contesto più vasto e fa scattare una conca di echi. I versi di Barbara Carle rievocano l’infanzia, la gioventù trascorsa in paesi diversi, la passione, il dolore, l’arte, i ritratti di persone incontrate per le strade di New Delhi, Dhaka, New York e Sacramento. La memoria ritorna ai poeti amati, ai grandi momenti della storia europea, ai momenti di dolore e di abbandono, del lutto per gli amati scomparsi. Come i mille umori del mare, le veemenze si fanno distese, lisce, calme, agitate, tempestose, cupe o luminose, si trasformano in un concerto di bisbigli e schianti, sussurri e silenzi.

Tillie Olsen
Fammi un indovinello

Pubblicati per la prima volta nel 1961, i racconti contenuti in Fammi un indovinello sono diventati un classico della letteratura nordamericana del Novecento. Un’opera snella ma potente, che per la prima volta esplorava temi vicini alle donne della working class, problemi comuni fin lì mai detti o rimasti inascoltati: la maternità delle madri single, il legame madre-figlia, il rapporto coniugale della vecchiaia, dentro un mondo narrativo che coglie senza indulgenza tutta la desolazione della realtà contemporanea, l’oppressione, la miseria, ma anche la forza positiva del ricordo, della ricerca del sé e della sua realizzazione. Con una scrittura sferzante e pungente, Tillie Olsen tratteggia con implacabile compassione e profonda pietà le storie di uomini e donne, vecchi e bambini, bianchi e neri colti nelle vicissitudini dell’esistenza. Sono storie di solitudine, pregiudizi, violenza, frustrazioni, ma anche amicizia, cura e solidarietà, scritte in una prosa densa, viva, e che spezza il cuore.

Marco Visentin
«Ridotti a star male ma non alla fame, e la rivoluzione non accade»

Di fronte a un essere umano ancora oggi intrappolato in un mondo a morfologia capitalista, che dice di sé di essere l’unico possibile, Marco Visentin ci invita a indagare e a riflettere sul concetto di alienazione. Entro la logica totalizzante dell’impresa, il lavoratore non è mai chiamato a essere beato o felice, ma produttivo ed efficiente, in un orizzonte in cui l’attenzione si sposta dall’essere dell’uomo al suo solo fare. In questa panoramica l’autore acclara la necessità che, da attore economico isolato all’interno di mere relazioni di scambio, il lavoratore smetta di donare integralmente se stesso alla causa non propria, seppure legittima, dell’obiettivo di creazione di valore per riappropriarsi del proprio fine e ritrovare il senso vero di essere uomo in mezzo agli altri uomini.

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