Gli scritti qui raccolti ripropongono il percorso di una singolare figura di intellettuale militante quale è stato Giuseppe Trotta nel corso della sua breve vita pubblica. Un senso acuto delle discontinuità storiche e politiche, il disincanto di una mente lucida e affilata unito a una disponibilità quasi disarmata di fronte alle provocazioni più radicali, specie di matrice evangelica, l’urgenza di informare e orientare una platea di interlocutori circoscritta ma assai differenziata convergono in ciascuno di questi testi, spesso brevi, sempre sorprendenti. A partire dall’asserita, e sofferta, inconciliabilità tra mondo e vangelo, storia ed escatologia, l’autore si sofferma con autentica pietas sulle testimonianze di fede che una qualche distensione umana pure hanno assunto: un’espressività e visibilità riconosciute, un significato vissuto e condiviso anche dai più semplici. Da Simone Weil alla santa Teresina, da don De Luca a don Milani, da Sturzo a Dossetti, gli scritti di Trotta accompagnano il lettore nella riscoperta del paradosso sempre sconcertante dell’esperienza credente.
Questo libro nasce da un desiderio e da un dialogo. Il desiderio di affrontare da cristiani il cambiamento d’epoca. Un cambiamento che apre a straordinarie opportunità ma che è attraversato da guerre sconvolgenti, dalla crescita delle diseguaglianze, da una crisi che non risparmia la credibilità stessa della democrazia. Il dialogo, tra associazioni, movimenti, comunità di credenti, prosegue e oggi è incalzato dal magistero esigente e innovativo di papa Francesco, la cui radicalità evangelica mette in discussione anche alcuni paradigmi del cattolicesimo democratico e sociale, così come sono stati plasmati nel Novecento. Ci si lamenta dell’irrilevanza dei cattolici nella città dell’uomo, eppure le parole del papa sulla guerra, sulle ingiustizie sociali, sull’ambiente violentato assumono una forza e una riconoscibilità nel mondo – anche in termini di pensiero – che stride con certi dubbi e tentennamenti. Associazioni e movimenti cattolici possono giocare un ruolo nuovo e importante nel rilancio della politica dei cristiani, partendo da una fraternità attiva, da testimonianze coerenti con il vangelo, dal camminare insieme con chi è impegnato nel costruire democrazia, pace, solidarietà. Senza più la nostalgia delle forme del passato.
Nel centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti (1885-1924), questo libro ne ripercorre la vicenda in modo non rituale. Di uno dei delitti più simbolici dell’intero Novecento non si vuole, infatti, né offrire un racconto dettagliato, né scandire i canoni consolidati dei suoi quando, come, perché, né farsi sedurre dalle trame delle mille eredità, storiche e soprattutto memoriali, che da un secolo a questa parte si sono accumulate. Enzo Fimiani reinterpreta Matteotti, proponendo al lettore alcune sfide intellettuali e civili. Almeno tre emergono come principali: decostruire il suo mito su tutti i diversi piani nei quali si sviluppa, ideale o politico, celebrativo o ideologico, per ricondurlo alla storia e alle sue molteplici variabili; «normalizzare» la sua uccisione togliendole la patina di evento eccezionale, non per fare opera di deminutio bensì per inserirla in contesti più ampi e complessi, ridando così un peso e un significato non di maniera alla sua esistenza; riflettere sullo strano destino politico di Matteotti, icona del Novecento, ma, per certi versi, cattiva coscienza delle contraddizioni e dei cortocircuiti di tutte le famiglie politiche del secolo, nella «sua» sinistra come nelle destre, perché a nessuna omologabile, da nessuna manipolabile e, per tutte, «una macchia, una colpa».
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