Quando, dopo la fine della seconda guerra mondiale, cominciò a emergere la consapevolezza che una delle tragedie che si erano verificate in quel periodo era stato il massacro di quasi sei milioni di ebrei, si parlò di deportazione e di sterminio, successivamente di genocidio. Nel mondo ebraico orientale e tra gli abitanti del nascente Stato d’Israele, di hurban, poi di shoah. Oggi molti storici si riferiscono a quell’evento definendolo metaforicamente soluzione finale o Auschwitz; gli inglesi, gli americani e i mass media lo chiamano olocausto. Fra gli ebrei religiosi, alcuni non vogliono neppure nominarlo, ritenendolo inconcepibile; altri hanno formulato definizioni diverse che fanno riferimento alla sua unicità e alle sue terrificanti proporzioni.Che significato ha questo proliferare di nomi? Perché definire olocausto, ossia «sacrificio in cui la vittima viene interamente arsa», lo sterminio di un popolo? Quale importanza può avere il nome con cui definiamo quest’immane tragedia? E perché essa deve avere una denominazione che la identifichi tra tutte quelle avvenute nei secoli?L’autrice cerca di rispondere a queste domande, spiegando come e perché sono nate le singole definizioni; come la ricerca di un nome abbia accompagnato l’approfondirsi della conoscenza storica dell’evento; come vi siano motivazioni linguistiche, ma anche psicologiche, politiche, storiche e religiose.
Anna-Vera Sullam Calimani ha insegnato Lingua e Storia della lingua italiana all’Università Ca’ Foscari di Venezia. Si è occupata del lessico italiano e del rapporto tra la lingua inglese e quella italiana. Tra i suoi lavori ricordiamo: Il primo dei Mohicani. L’elemento americano nelle traduzioni dei romanzi di J.F.Cooper (Iepi, 1995) e la curatela di Italiano e inglese a confronto (Cesati, 2003).
Iscriviti alla nostra newsletter per essere informato su novità e approfondimenti
sessione scaduta effettua nuovamente l'accesso