Giocando a dama con la luna ci racconta di quella Germania che, al volgere dell’ottocento, vorrebbe fare convivere il mito della classicità, incarnato nell’antica Grecia e di cui si sente l’erede, con lo spirito militaresco di conquista. Protagonista è l’ingegnere e archeologo berlinese Carl Humann (1839-1936) che da Berlino decide di trasferirsi a Smirne. In breve tempo quello di Carl si trasforma in un viaggio della conoscenza, alla ricerca di un altro mondo e di se stesso, alla ricerca della storia passata (è sua la scoperta dell’altare di Pergamo). Lontano dall’occidente egli riesce a percepire meglio il destino della sua nazione, e proprio le pagine finali ne rivelano il senso metaforico profondo: il miraggio tedesco di reincarnare lo spirito della classicità greca si spegnerà tra le macerie desolanti del bombardamento di Berlino, al termine della seconda guerra mondiale. Resta da aggiungere che lo sguardo della scrittrice sulla storia tedesca non è affatto neutrale, né tanto meno cronachistico, ma rievocato attraverso la prospettiva di un artista, probabile proiezione autobiografica dell’autrice.
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