La poesia è sempre e comunque interrogante. Il poeta, infatti, non è l’uomo dalla risposta pronta, che allunga il braccio e indica la via, ma un delirante ricercatore. Qualcosa tra Lancillotto e Falstaff, tra Giobbe e Lord Jim. Il libro di Davide Brullo ci mette nel mezzo di un cerchio rimandandoci, quasi biblicamente, le stesse ossessive domande dacché l’uomo è uomo. Chi siamo? Dove andiamo? Da dove siamo venuti? Qual è il nostro compito su questa terra, in questo vento di vita? Dove sono posti i confini tra il bene e il male? E lo fa con una lingua che attinge dal testo sacro, a tratti scabra, presuntuosa e percotente, in perpetuo scavo. E ci parla di un mondo arcaico, ma anche postatomico, come se in un palmo di mano si radunassero millenni. Leopardiano in questo senso, ma soprattutto un libro che è come un colpo di scalpello su una roccia che in sé conserva ciò che è stato del mondo.
Davide Brullo ha pubblicato alcuni libri in versi, tra cui Annali (2004) e L’era del ferro (2007). Il suo primo romanzo, Il lupo, è uscito nel 2009, seguito da S nel 2010.
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