Misantropo, ferocissimo, ostile al perbenismo dell’arte italiana del secolo scorso e fustigatore delle presunte avanguardie (in epoca di “futurismi” scrisse che vedeva «superfluità, frettolosità dappertutto. Si improvvisa»), Carlo Fornara (1871-1968) è il grande pittore ignorato della nostra storia. Ammirato da Giovanni Segantini, che lo riteneva il suo allievo più abile, è insieme a Giovanni Fattori, Gaetano Previati e Giuseppe Pellizza da Volpedo l’artista italiano più importante e decisivo a cavallo tra Otto e Novecento. Ma a dispetto di questi giganti Fornara è stato capace di scelte drastiche e assolute. Nel 1922 l’artista, originario di Prestinone, in Val Vigezzo, ritorna e si ritira tra i suoi monti, dove rimarrà fino alla morte, dedicandosi alla propria opera, ignorando ogni onorificenza ufficiale, in artica umiltà e nudità (nel 1945 Ettore Marangoni scrisse che Fornara «si richiuse nella più severa solitudine anche per effetto del disgusto provocato in lui dal carnevale della così detta arte moderna»). Questo periodo, che rappresenta l’ingresso negli abissi di Fornara, è testimoniato dall’epistolario ardente con il collezionista e amico Amedeo Catapano (1897- 1976), pregno di confidenze e di giudizi al di là dell’umano. Carlo Fornara, che qui viene raccontato come un eroe da romanzo, come un santo eccentrico, è il Don Chisciotte dell’arte italiana del Novecento. Con il ghigno (e l’inquietudine) di Re Lear impressa sul volto.
Davide Brullo ha pubblicato alcuni libri in versi, tra cui Annali (2004) e L’era del ferro (2007). Il suo primo romanzo, Il lupo, è uscito nel 2009, seguito da S nel 2010.
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