«Nella ricostruzione di Besançon, l’Occidente nelle sue radici ellenistiche ed ebraiche (ma pure nella sua declinazione islamica) ha costantemente oscillato tra il rifiuto e la legittimazione dell’immagine quale rappresentazione sensibile del divino. Nonostante il dogma dell’Incarnazione, che riqualifica la realtà visibile della natura e dell’uomo, fatti propri e assunti da Dio nella persona di Cristo, anche il cristianesimo ha subito le medesime incertezze ed oscillazioni, giungendo, da un lato, alla divinizzazione stessa dell’immagine dipinta nell’icona bizantina, o, al contrario, alla cancellazione calvinista della raffigurazione del sacro. Così, nel corso dei secoli, la tradizione di mediazione tra il contatto immediato e intuitivo con il divino e la sua raffigurazione devozionale è stata saldamente conservata solo dalla tradizione cattolica occidentale, che assegna all’immagine uno statuto prevalentemente pedagogico o ancor più psicagogico, di guida cioè dell’anima nel percorso di ascesi dall’orizzonte del mondano alla dimensione spirituale dell’incontro metafisico con il Dio trinitario. La questione dell’immagine del divino si intreccia così con il problema della raffigurazione del mondo e della natura, che rappresentano per l’uomo il luogo dell’incontro con il Dio cristiano e la dimensione da questi assunta per rendersi attingibile: una mediazione imprescindibile e pur sempre da trascendere».
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