Torna di attualità in questi mesi un testo scritto da Hannah Arendt negli anni Settanta. Si tratta di un’originale riflessione sulla natura della politica e sul suo rapporto con la verità. Il libro – qui proposto con il testo originale a fronte – prende spunto dalla vicenda dei Pentagon Papers, documenti riservati del Dipartimento della difesa USA: nel 1971 alcuni stralci di quelle relazioni coperte da segreto di Stato furono trafugati e pubblicati sulle pagine del New York Times, rivelando all’opinione pubblica l’ammissione da parte del Pentagono dell’assoluta inutilità strategica dell’impegno americano in Vietnam.
Hannah Arendt (1906-1975), ebrea tedesca allieva di Heidegger e Jaspers, è tra le più originali intellettuali della seconda metà del Novecento. Tra le sue opere più importanti tradotte in italiano: Vita Activa (Bompiani 2000), Le origini del totalitarismo (Einaudi 2009), Sulla rivoluzione (Einaudi 2009), La banalità del male (Feltrinelli 2013) e La Vita della mente (Bompiani 2017).
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